Caso L.B. contro Policlinico Tor Vergata – Roma
Il Sig. L. B., 76 anni, veniva sottoposto ad un intervento di
adenomectomia prostatica trans-vescicale, dovuto ad una iperplasia della prostata, con
conseguente ostruzione delle vie urinarie, presso il Policlinico Tor Vergata di Roma.
Nell’immediato l’intervento non aveva presentato complicanze, né anomalie.
Due giorni dopo, il Sig. L. B. lamentava dolore addominale diffuso,
con addome lievemente disteso. Si somministrava terapia farmacologica per la gestione
del dolore. Nelle ore successive il paziente non migliorava e continuava ad essere agitato,
lamentando dolore toracico.
Intorno alle 20:00, veniva effettuato un elettrocardiogramma. Il referto denotava una
sofferenza miocardica. Inoltre, le analisi del sangue effettuate nel corso della stessa
giornata, mostravano alcuni valori ematochimici non nella norma.
La mattina del giorno successivo, alle 7:55, veniva dichiarato il decesso del Sig. L. B.
Il riscontro autoptico confermava la causa del decesso: uno scompenso di cuore con
edema polmonare terminale.
La perizia dello specialista di parte dello Studio Legale Sgromo e i consulenti tecnici di
ufficio nominati dal tribunale di Roma, hanno evidenziato gravi imprudenze da parte del
personale sanitario che aveva in cura il Sig. L. B. Il dolore da lui lamentato per tutta la
notte, è stato sottovalutato e non trattato con l’importanza che meritava.
L’edema polmonare, infatti, non fu diagnosticato per incompletezza delle indagini cliniche
e strumentali effettuate sul paziente. Questo si sarebbe dovuto gestire consultando prima
di tutto un cardiologo, in un ambiente idoneo a queste evenienze, con un monitoraggio
continuo di eventuali aritmie o acuzie di scompenso, e con la somministrazione della
terapia prevista dalle attuali linee guida.
Lo Studio Legale Sgromo ha attivato un ricorso ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. contro la
struttura sanitaria del Policlinico Tor Vergata di Roma, che si è concluso con un accordo
transattivo per un importo di 550.000€ a favore degli eredi del Sig. L. B.
Caso MIS. Tribunale di Albano
Accaduto presso: Presidio Ospedaliero San Giuseppe di Marino- ASL ROMA H.
Il caso riguarda il parto della sig.ra C. che alla 40^ settimana e 5 gg di gestazione, a causa dell'insorgenza di sintomatologia caratterizzata da contrazioni uterine e perdite ematiche, si recava presso il P.S. dell'Ospedale di Marino.
All'ingresso in P.S. i sanitari procedevano al ricovero, con diagnosi di gravidanza a termine e la trasferivano presso il reparto di ginecologia e ostetricia del medesimo nosocomio.
In seguito alla rottura delle membrane, veniva avviato monitoraggio mediante CTG, che evidenziava sofferenza fetale. La paziente veniva, dunque, condotta in sala parto e si procedeva a parto spontaneo.
Dava, così, alla luce un feto vivo in condizione di grave asfissia, per cui i sanitari procedevano a trasferirlo presso il reparto di terapia intensiva neonatale dell'Ospedale S. Giovanni Addolorata ove, nonostante le cure, decedeva per "asfissia perinatale, grave-encefalopatia ipossico-ischemica".
Grave l'imperizia e negligenza dei sanitari che non ebbero a riconoscere la grave sofferenza fetale dovuta all'ipossia del feto. Ove fosse stato seguito correttamente il monitoraggio CTG, come previsto dalle principali linee guida, sarebbe stato, infatti, possibile evidenziare un crescente peggioramento delle condizioni fetali. I sanitari invece, sottovalutando la gravità della problematica, non eseguivano intervento tempestivo ed adeguato che avrebbe evitato l'asfissia neonatale del piccolo.
Emersa la responsabilità della struttura nell'evento occorso, il Tribunale di Velletri ha condannato la ASL ROMA H al pagamento in favore dei genitori del piccolo M.L. della somma di euro 500.000,00 oltre interessi, spese di lite, spese documentate, rimborso forfettario, oneri fiscali e contributivi e spese CTU.
CASO GE. – Tribunale di Catania.
Evento occorso presso la AOU “P.V.E.”
I sanitari della struttura sottoponevano il sig. Ge., all’epoca dei fatti all’età di 30 anni, affetto da Sindrome di Arnold – Chiari tipo I, ad intervento di “laminectomia di C1 con associata craniectomia sub-occipitale e plastica durale”.
Subito dopo il primo intervento, si evidenziava una raccolta liquorale anomala in sede di trattamento chirurgico, da attribuire alla deiscenza della plastica durale, ma i sanitari non reputavano necessario procedere alla revisione chirurgica della sede del precedente trattamento. Il sig. Ge. veniva dunque dimesso. In seguito a TAC cranio, evidenziata “voluminosa raccolta mediana a densità idrica, liquorale, a livello della craniotomia occipitale”, il sig. Ge. veniva nuovamente ricoverato presso la NCH del P. di C. e sottoposto a puntura evacuativa della raccolta liquorale con tutti i rischi connessi alla procedura, quali infezioni ed ipotensione liquorale. I sanitari, dunque, invece di sottoporlo ad una revisione chirurgica del cavo operatorio al fine di riparare definitivamente la evidente deiscenza durale, optavano per una procedura non indicata e collegata ad un maggior rischio di complicanze, ovvero una Derivazione Ventricolo Peritoneale. Nel corso di tale intervento veniva lesionato il nervo ottico di Sn con perdita del visus all’OD.
Con la loro condotta i sanitari non solo determinavano al sig. Ge. la lesione del nervo ottico di Sn., ma, sottoponendolo ad un intervento non adeguato, peggioravano lo stato clinico del paziente determinandone la perdita permanente dell’integrità psico-fisica, individuata in un danno biologico del 40%.
A seguito di tale evento, in via stragiudiziale, la Compagnia Assicuratrice della AOU “P.V.E.” offriva una somma a titolo di risarcimento del danno.
Il caso si è chiuso con un accordo transattivo, in via stragiudiziale, per l’importo complessivo di 458.364,80€.
CASO CO. - KO. – Tribunale di l’Aquila.
Evento occorso presso la ASL 1 A.-S.-L. .
Trattasi di una paziente, all’epoca dei fatti, di anni 26, che portava avanti una gravidanza regolare, sottoponendosi a i comuni esami ematochimici, alle visite specialistiche periodiche ed alle ecografie di controllo.
La sig.ra Ko. giunta presso la struttura, in travaglio, veniva visitata dal medico di guardia che rilevava il collo uterino leggermente raccorciato. Si assisteva ad una lenta evoluzione della fase latente del travaglio di parto.
Eseguiti i tracciati, i sanitari non eseguivano una corretta valutazione delle alterazioni presenti negli stessi, classificabili come non rassicuranti. In presenza di una attività contrattile irregolare, della mancata progressione della PP e della dilatazione della cervice, ove i sanitari avessero interpretato correttamente tali tracciati CTG, infatti, avrebbero dovuto allertare il servizio di anestesia in considerazione della possibilità di dover procedere ad un taglio cesareo urgente. Un attenta valutazione ed un opportuno monitoraggio avrebbero, dunque, consentito di evidenziare la variazione in senso peggiorativo delle condizioni fetali.
Solo dopo ben 27 minuti dalla comparsa delle decelerazioni ingravescenti perveniva al servizio di anestesia e rianimazione la richiesta di disponibilità della sala operatoria per intervento urgente di taglio cesareo per iniziale sofferenza fetale. Il taglio cesareo veniva eseguito dopo ben 45’ dalla decelerazione.
Avveniva la nascita della piccola R. con Apgar 1- 3- 4- 7 al 1’, 5’, 10’ e 20’, dimessa con diagnosi di “asfissia perinatale, encefalopatia ipossico-ischemica. Convulsioni neonatali” e con esito finale di “tetraparesi spastico-distonica”.
Con la loro condotta imperita e negligente i sanitari non riconoscevano tempestivamente l’acuta sofferenza fetale non eseguivano un tempestivo TC che avrebbe evitato l’asfissia della piccola R.
A seguito di tale evento in via stragiudiziale la ASL 1 A.-S.-L. offriva una somma a titolo di risarcimento del danno. Il caso si è chiuso con un accordo transattivo, per l’importo complessivo di 800.000,00€.
CASO AL.– Tribunale di Bergamo
Evento occorso presso la A. O. B. S.
Trattasi di shock emorragico materno e morte perinatale in una paziente,che a termine di una regolare gravidanza, veniva ricoverata con diagnosi di travaglio di parto, con contrazioni forti protrattesi per circa 12 ore. Nonostante ciò i sanitari somministravano ossitocina. La situazione si aggravava tanto che in brevissimo tempo la paziente veniva trasportata in sala operatoria per cesareo in emergenza per rottura di utero. Il piccolo alla nascita si presentava privo di segni vitali.
Gravissima la condotta dei sanitari che avrebbero dovuto provvedere ad urgente estrazione cesarea per la presenza di chiari segni clinici di mancata progressione della parte presentata, in presenza di più che valide contrazioni uterine spontanee e di ancor più valide contrazioni uterine improvvisamente potenziate dall’infusione ossitocica.
Con la loro condotta imperita e negligente i sanitari determinavano la rottura dell’utero oltre la morte endouterina del feto.
I CC.TT.UU. nominati dal tribunale di Bergamo individuavano la responsabilità dei sanitari nell’evento occorso, checon la loro condotta professionalmente imprudente ed imperitanon assistevano correttamente al parto la sig.ra A.. Per la perdita del viscere uterino in seguito al taglio cesareo demolitore, tenuto conto che la paziente aveva, all’epoca dei fatti, 37 anni ed altri due figli, i CC.TT.UU. individuavano un danno biologico del 15%, precisando che la morte endouterina del feto, poteva solo “eventualmente” contribuire ad innalzare l’entità del danno. Non provvedevano però a fornire ulteriori precisazioni.
A seguito di tale evento in via stragiudiziale la A. O. B. S. offriva una somma a titolo di risarcimento del danno. Il caso si è chiuso, in considerazione di quanto in appresso rilevato, con un accordo transattivo, per l’importo complessivo di euro 200.000.